BUONO A SAPERSI

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  1. Don Giuliano
     
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    Istantanea... sul punto G
    Donne,localizzato il fulcro del piacere


    Di lui si parla dagli albori dei tempi: la cultura orientale nei suoi antichi testi lo definiva come "punto del sole" o "punto del piacere", dimostrando di conoscere già l’esistenza di questa zona del corpo della donna, determinante per il suo piacere sessuale. E' il cosiddetto punto G, ossia quell'area della vagina che sarebbe fondamentale per l'orgasmo femminile. E, con l’aiuto della scienza, questo misteriosa fonte di piacere sembra finalmente in procinto di svelare i suoi segreti. Gli scienziati sarebbero addirittura riusciti a fotografarlo, dimostrando innanzi tutto che esiste realmente, e in secondo luogo localizzandolo con precisione.

    Autore di questa “istantanea” sul punto G è il professor Emmanuele Jannini, studioso dell'Università de L'Aquila e docente di Sessuologia Medica, che lo ha fotografato in un gruppo di donne. Questo particolare anatomico si presenta come un piccolo ispessimento della parete che divide la vagina dall'uretra e solo le donne che lo possiedono risultano “ammesse” alle gioie dell'orgasmo vaginale. Jannini ha osservato per la prima volta questa piccola area su un campione di donne attraverso l'ecografia transvaginale, un semplice metodo che si adopera di routine nel campo della diagnostica. Lo studio di Jannini, pubblicato su una delle riviste mondiali più prestigiose nel campo della sessuologia, il “Journal of Sexual Medicine”, ha dimostrato che quella è la sede del fulcro del piacere e che, sottolinea l’esperto,''come diceva Sigmund Freud, 'l'anatomia è il destino’. Per cui l'aspetto anatomico suggerisce che avere o meno il punto G è una condizione congenita”.

    In Occidente si è cominciato a parlare del punto G nella seconda metà del Seicento, quando un medico e speziale olandese, Reigner de Graaf (1641-1693) parla dell'esistenza di un'area nel corpo femminile in prossimità della vagina, di particolare sensibilità erogena. Il trattato in cui era contenuta questa affermazione è andato perduto, ma viene ricordato negli scritti di vari autori suoi contemporanei. In tempi moderni, nel 1950, il primo a pubblicare uno studio scientifico dettagliato in proposito è stato Ernst Gräfenberg, il quale indicava la presenza di una zona, interna alla vagina, dalla quale aveva origine il piacere sessuale femminile. Secondo Gräfenberg il punto G si trova nello spazio fra la parete anteriore della vagina e la parete posteriore della vescica, ad una profondità di circa sei-otto centimetri rispetto all'ingresso del canale vaginale. Più precisamente, il punto G sarebbe posto sulla parete anteriore della vagina, nel suo terzo inferiore.

    La ricerca suscitò parecchi dubbi e molte incredulità e, sebbene negli anni successivi altri studiosi ne abbiano confermato l'esistenza, il punto G è stato fino a questo momento fonte di dissensi e discussioni, tanto che molti ginecologi ne negano l'esistenza. Secondo la ricercatrice australiana Helen O'Connel, invece il punto G sarebbe in realtà solo la parte terminale della struttura interna del clitoride.

    Commentando i risultati dello studio di Jannini, la sessuologa Chiara Simonelli afferma: “Si tratta, come dimostrato dalla pubblicazione su una rivista prestigiosa, di risultati interessanti e importanti, che confermano la collocazione del punto G a lungo sospettata, ma serviranno ulteriori studi per conferme definitive”.

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  2. Don Giuliano
     
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    Donne: lo sport fa bene al sesso
    Sono tedesche le più sportive


    Lo sport? Un vero e proprio elisir e non solo di lunga vita. A trarre beneficio infatti da una attività sportiva costante è anche la libido. Più sport e più sesso insomma. Rimedio a tutti i mali, non solo fisici, e a tutte le età, le più avvantaggiate sono soprattutto le donne. Secondo una ricerca condotta da Tns per conto della Nike, su oltre 10 mila donne di 9 Paesi europei (Paesi Bassi, Spagna, Italia, Francia, Regno Unito, Germania, Svezia, Turchia e Russia).
    Infatti il 73% delle ragazze europee tra i 16 e i 30 anni, che fanno attività fisica si sente infatti emotivamente più forte. Il 77% è più realizzata, l'85% è orgogliosa di se stessa, il 62% ha una maggiore autostima e il 41% si sente come se potesse addirittura conquistare il mondo.
    Senza contare che un gran numero di giovani, grazie allo sport, si sente attraente, sexy e con più libido. Secondo l'indagine, oltre ai benefici sul piano fisico, praticare sport migliora quindi l'autostima, la percezione del successo, l'orgoglio e lo stimolo sessuale.

    Quasi tre quarti delle donne che hanno partecipato alla ricerca, e che praticano sport, affermano infatti che l'attività fisica le rende persone emotivamente più forti. Il 68% delle sportive, ad esempio, ha dichiarato che lo sport può contribuire notevolmente ad avere successo nella vita, anche in termini di carriera lavorativa. Circa due terzi delle partecipanti dichiarano che l'attività fisica aiuta a incontrare persone nuove, circa la metà afferma che contribuisce a mantenerle allegre e una percentuale ancora maggiore (59%) sostiene che aiuta a gestire lo stress e la rabbia.

    Le attività sportive sembrano quindi svolgere un ruolo importante anche nella vita sociale delle ragazze. Tra le intervistate, molte più donne che praticano sport si sentono attraenti e sexy. Tanto che il 12% delle partecipanti ha incontrato il proprio ex o attuale compagno proprio grazie allo sport. L'indagine sembra smontare anche un luogo comune: quello che lo sport sia una faccenda da uomini. La stragrande maggioranza delle intervistate (83%) non lo considera un'attività prettamente maschile. Al contrario, quasi la metà ha dichiarato che in ambito sportivo le donne sono sottovalutate, e all'interno di questo gruppo due intervistate su 5 ritengono che nell'ambiente vi sia un eccessivo predominio da parte degli uomini. Anche se una discreta percentuale di partecipanti russe e britanniche ha ammesso di temere che lo sport possa far perdere la femminilità. Soprattutto in Turchia, Italia e Russia, le ragazze sono preoccupate del fatto che l'attività fisica possa renderle troppo muscolose, mentre nel Regno Unito dichiarano di non praticare sport perché è un'attività che fa sudare troppo.
    Ma quali sono, in Europa, le donne più sportive? Secondo l'indagine, le tedesche (67%). Fanalino di coda sembrano invece le ragazze turche (41%). Aerobica (38%), fitness (35%) e nuoto (31%) sono le attività più praticate.

     
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  3. Quirita
     
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    dal quotidiano "RINASCITA"
    "Fotovoltaico e speculazioni finanziarie"
    Venerdi 7 Marzo 2008 – 17:42 – Fulvia Novellino

    La psicosi del risparmio energetico ha scatenato la disperata ricerca della fonte energetica alternativa che consenta di liberare i cittadini da questa schiavitù. Tra gli investimenti maggiormente pubblicizzati da una rete di imprese, associazioni e banche figura come primario quello dell’impianto fotovoltaico, che gode da circa due anni di un sistema di incentivazione particolare: il conto energia.
    Il caro petrolio ha lanciato la psicosi del risparmio energetico e ha scatenato la disperata ricerca della fonte energetica alternativa per uscire dal circolo vizioso dei rincari insostenibili. Cominciano così ad accreditarsi sempre più le fonti di energia alternative, sostenute da una politica promossa dall’Unione europea e dagli stessi governi di incentivi per abbattere le emissioni di CO2 nell’atmosfera, come sancito dal Trattato di Kyoto.
    In particolare, il decreto ministeriale del 19 febbraio 2007 ha previsto una procedura amministrativa in virtù della quale viene concesso una forma di finanziamento mediante il pagamento, a tariffa fissa, dell’energia prodotta grazie il proprio impianto fotovoltaico. In tal modo, il ministero dell’Ambiente decide di trasferire al proprietario dell’impianto, nonché assegnatario del progetto di finanziamento, una cifra annuale commisurata alla capacità energetica dell’impianto, remunerando l’elettricità prodotta dall’impianto per un certo numero di anni.
    Stiamo parlando del progetto “conto energia” che va a ripagare con un piano di ammortamento l’acquisto degli impianti già acquistati, funzionanti e connessi alla rete elettrica di distribuzione della casa, predisponendo degli appositi contatori che indicano non solo l’energia consumata ma anche quella prodotta. Ovviamente viene prevista anche la possibilità di poter vendere alla rete nazionale energetica il surplus prodotto, acquistando un credito nei confronti dell’Enel.
    La norma in sé sembra conveniente e allettante, considerando che riconoscerebbe ad una famiglia media di 4 componenti, che costruisce un impianto di 4 Kw, un finanziamento di 2.500 euro l’anno, a cui occorre aggiungere il risparmio energetico derivante dal mancato pagamento di bollette elettriche e gas.
    Di fatto, per applicare tale norma è stato costruito un contorto sistema che vede imprese, banche e assicurazioni coinvolte in una rete viziosa allo scopo di trarre ovviamente un guadagno dagli incentivi statali per acquistare impianti fotovoltaici.
    I soggetti promotori del progetto sono il più delle volte società, spesso con una struttura multilevel, che si fanno carico delle pratiche di progettazione ingegneristica e civile dell’impianto, nonché del montaggio e del collegamento dello stesso alla rete di distribuzione interna e nazionale.
    Costruiscono a tal fine una rete di agenti che - come i nostalgici rappresentanti degli elettrodomestici e casalinghi - propongono al cliente la costruzione di un impianto fotovoltaico a costo pari a zero, grazie alla possibilità di usufruire degli incentivi statali. In realtà, in una seconda fase del colloquio, l’agente spiega che al momento dell’acquisto dell’impianto, viene sottoscritto un “mutuo chirografario” di 20 anni, ad un tasso del 5-6%, grazie al quale la banca anticipa l’intera somma del costo dell’impianto e poi si rifà sulle somme trasferite dal ministero.
    Il punto critico viene allo scoperto proprio esaminando questo piccolo particolare, in quanto l’acquisto dell’impianto implica direttamente la sottoscrizione del mutuo, ma non necessariamente l’attribuzione degli incentivi statali, la cui concessione si ha solo dopo che l’impianto diventa funzionante e deve comunque scontare la valutazione delle condizioni esistenti.
    Nel momento in cui, dunque, acquistate l’impianto verrà subito acceso il mutuo, che non sarà collegato alla pratica inoltrata presso il ministero: i due contratti vengono ad esistere in momenti diversi, e le vicende dell’uno non possono influire sull’esito dell’altro. In altre parole, qualora lo Stato non conceda il finanziamento o interrompa il trasferimento perché “le quote energetiche” sono state tutte aggiudicate, il muto non cesserà di esistere e incomberà sul soggetto che lo ha sottoscritto, unico e solo debitore “chirografario”, ossia responsabile personalmente e con i suoi beni.
    Nel meccanismo è stata prevista anche una forma di “copertura assicurativa” in caso di furto o di guasto dell’impianto che potrebbero portare all’interruzione dei trasferimenti dello Stato: in questo caso occorre aggiungere l’ulteriore costo della componente assicurativa. Stesso discorso vale per la manutenzione e per la garanzia dell’impianto, in quanto l’impresa dà una copertura di oltre 20 anni per alcune componenti, mentre per altre la garanzia non può essere superiore a 10 anni, come nel caso dell’alternatore di energia che consente di convertire l’energia fissa in energia alternata come necessita al sistema elettrico. Allo stesso modo, la garanzia non è collegata al mutuo, in quanto qualora il guasto non rientri nelle clausole previste né dall’assicurazione né dalla garanzia, il debito della banca resta lì, e deve essere pagato in ogni caso.
    Infine, stiamo parlando di impianti che costituiscono una tecnologia “vecchia”, risalente aglianni sessanta, e che in quanto tale dovrebbe essere venduta ad un prezzo di mercato ragionevole, oltre ad aver coltivato esperienza e conoscenza tale da poter far fronte ad ogni inconveniente.
    Nella realtà gli impianti fotovoltatici vengono venduti a prezzi molto elevati, per circa 7 mila euro ogni Kw di potenza, senza tuttavia garantire che la potenza dell’impianto rimanga nel tempo immutata e non sia sottoposta a degrado, e molto spesso le società comprano dei materiali scadenti per rivenderli ad alte tariffe, con costi che vanno alle stelle se si considera che dovranno alimentare la multilvel, le banche e le assicurazioni.
    È chiaro che, dietro al fotovoltaico - entrato nell’immaginario collettivo come una fonte di energia alternativa ed ecologica - hanno costruito un sistema intenzionalmente contorto e complesso per fare, ancora una volta, dell’energia un business, ai danni dei cittadini e dello Stato stesso.
    Per quanto possa essere giusta e solida la motivazione di fondo della norma, il modo in cui viene applicata è sbagliato, è poco trasparente e potrebbe rivelarsi una vera e propria truffa, per far girare la macchina bancaria e delle multilevel. Poteva essere elaborato un qualsiasi altro sistema, come un diretto coinvolgimento dell’Enel, che avrebbe beneficiato degli incentivi oppure avrebbe messo nel conto di ammortamento il risparmio delle bollette, senza richiedere così l’intervento di una banca.
    D’altronde se il sistema era davvero conveniente, funzionale ed efficiente, avrebbe avuto una pubblicità su larga scala, e avrebbe preso piede tra la popolazione in poco tempo. Invece sono anni che non si muove nulla, e in questi ultimi mesi l’unica cosa che sono riusciti a muovere sono stati - come sempre d’altronde - i mutui, i debiti, i finanziamenti.
    Allora ci chiediamo perché l’Enel non possa cominciare già da domani a fornire ad ogni famiglia un impianto fotovoltaico, acquistando dai cittadini l’energia, investendo così nella “produzione diffusa” e non in quella concentrata in obsolete centrali termoelettriche. Spesso si risponde a questa domanda affermando che “vi sono grandi interessi delle lobbies petrolifere” che impediscono il diffondersi di tecnologie differenti.
    La triste realtà tuttavia fa capire che questo è un grande alibi, che il problema di base siamo noi stessi, i nostri governi, le nostre imprese, che complicano una cosa così semplice solo per speculare, per lucrare sulla speranza dei cittadini di uscire dall’incubo del petrolio e del gas. I mutui, le multilevel: non sono questi i mezzi che porteranno i popoli ad ottenere energia libera, perché sono strumenti di potere.

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    Ecco perchè, finchè esisteranno queste condizioni "particolaristiche", in questo paese sul campo delle energie alternative non verrà mai fatto un tubo !

     
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  4. Don Giuliano
     
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    Sesso, come Dio comanda
    E 13 minuti sotto le lenzuola sono ok


    Il sesso raccoglie la sua ennesima benedizione. Sdoganato ormai in quasi tutti i paesi del mondo e in quasi tutte le sue variabili, si guadagna anche il beneplacito della Chiesa Anglicana. E mentre in Olanda è stata da poco messa a punto una bozza di regolamento, che dovrebbe entrare in vigore dopo l'estate, e che autorizza ad appartarsi in un giardino pubblico e lasciarsi andare a libere effusioni, dal petting al rapporto sessuale completo senza pericolo di essere perseguibili legalmente, in Gran Bretagna la Chiesa Anglicana pubblica un vademecum anti-divorzio ad uso delle coppie, nel quale il sesso viene annoverato tra le priorità della vita e dove si invita apertamente i sudditi di Sua Maestà a non avere complessi nell'intimità della camera da letto.
    Intanto dall'Australia arriva un'altra bella notizia per coloro che non vantano prestazioni da record sotto le lenzuola.

    Uno studio pubblicato nell'International Journal of Sexual Medicine e a cui fa riferimento il sito http://www.theaustralian.news.com.au/ smentisce infatti il preconcetto secondo cui, per essere appagante e di qualità, un rapporto sessuale debba durare molto tempo. Tutt'altro.

    Secondo Eric Corty del Behrend College in Erie, Pennsylvania, che ha guidato il pool di ricercatori americani e canadesi, infatti, il modello dell'uomo macho che regge per ore e ore a letto, ha un pene molto grosso e ha erezioni da record, è poco realistico. L'obiettivo dello studio è stato proprio ridimensionare queste false aspettative. Il rapporto ottimale è quello che dura tra i 7 e i 13 minuti. 13 è la durata desiderabile, ma persino un rapporto di 3 minuti è accettabile e adeguato. Troppo breve invece uno che ne dura meno di 3. E troppo lungo un rapporto oltre i 13 minuti, che diventa addirittura "stancante" oltre la mezz'ora. Naturalmente nel conteggio non sono considerati coccole e preliminari vari. E naturalmente non ci sono regole ferree a cui attenersi, nè un cronometro da sistemare sul comodino. Ogni coppia ha esigenze e desideri diversi nell'intimità, ci sono alcune donne per le quali il traguardo dei 7 minuti è più che sifficiente e uomini che invece non concepiscono il sesso se non da maratoneta. Quindi per ognuno vale più che altro la regola generale che la durata ideale è quella che permette ad entrambi i partner di divertirsi e di provare piacere.

    Come, tra le righe, afferma anche il vademecum della Chiesa Anglicana, intitolato "Growing Together" (crescere assieme), che così descrive il sesso, "Lungi dall'essere volgare, il sesso è qualcosa di santo e di meraviglioso e deve essere celebrato. Come ogni altra abilità, va imparato e il compito di una coppia è di essere il maestro l'uno dell'altro".
    Un vicario sposato da 39 anni, Andrew Body, ha scritto le 120 pagine del vademecum che incoraggia marito e moglie a parlare apertamente tra di loro dei desideri erotici, di che cosa trovano eccitante o sgradevole.

    A riprova che in alcune coppie l'educazione sessuale lascia proprio a desiderare il libretto menziona il caso di un certo Kevin e una certa Mandy. Preoccupati che dopo diciotto mesi di matrimonio non spuntasse nemmeno l'ombra di un figlio, hanno incominciato ad agitarsi e alla fine scoperto l'arcano: in un anno e mezzo, pur mettendoci tutta la buona volontà, "non avevano mai avuto un rapporto sessuale completo".
    Il vademecum suggerisce agli sposi in crisi di andare senza indugi dal sessuologo e sottolinea che la convivenza di coppia può rivelarsi difficile se una persona con alle spalle una famiglia molto puritana si ritrovata sposata ad un partner proveniente da una casa "dove normale era la nudità e l'apertura nei confronti del sesso".

    Non di soli rapporti carnali vive comunque la coppia e il vademecum della Chiesa Anglicana, il primo in assoluto di questo genere, scritto nella speranza di arginare la piaga sempre più dirompente del divorzio, dispensa in effetti a piene mani consigli di tutti i tipi. Sprona ad esempio i coniugi a migliorare la reciproca "capacità di ascolto", ad essere chiari sulla divisione dei lavori domestici e "onesti" nell'uso del denaro.
    "Non vogliamo", ha spiegato il reverendo Nick Baines, vescovo di Croydon, "fermarci alla cerimonia nuziale ma interessarci anche della vita matrimoniale. Vogliamo preparare la gente alla vita ed è molto importante farlo considerando il numero delle persone che finisce per divorziare".
     
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  5. Don Giuliano
     
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    Il successo è scritto nel nome
    Che ti dice anche quanto sei sexy


    Gli antichi dicevano “nomen omen”, che significa “il destino è scritto nel nostro nome”. Ora, a duemila anni di distanza, arriva una controprova scientifica, che conferma come in un nome si nasconda il successo, la fortuna e l'appeal di una persona.
    Richard Wiseman, docente di psicologia dell'università dell' Hertfordshire, ha condotto un sondaggio online tra oltre 6.600 persone, dal quale è emerso che James e Richard sono i nomi più comunemente associati a uomini di successo, mentre per le donne sono Elizabeth e Caroline.

    La fortuna è portata invece da Jack e Chris, Lucy e Katie tra il gentil sesso, mentre l'attrazione esercitata dalle persone sembra essere massima quando costoro si chiamano Ryan e James, oppure Sophie e Rachel. Curiosamente, Ryan è anche indicato come il nome meno associato al successo, mentre Elisabeth, ma con la 's', è anche il nome meno collegato alla fortuna, insieme a Helen. Il minimo dell'attrazione è collegato a Thomas, George, Jane e Ann.

    Certo, sembra un sondaggio più impressionistico che scientifico, ma Wiseman, che lo ha presentato al festival della scienza a Edimburgo, dice di ritenerlo "piuttosto valido. Sono oltre 6.000 persone, e le conclusioni sono notevoli: la differenza tra i nomi più indicati e quelli meno indicati è molto, molto grande.
    C'è qualcosa di significativo, credo". Il professore, autore di Quirkology: The Curious Science of Everyday Life (Bizzarrologia: la strana scienza della vita di tutti i giorni), spiega che un precedente, simile sondaggio ha evidenziato che le persone con i cognomi la cui iniziale è tra le prime lettere dell'alfabeto vengono considerati più facilmente destinati al successo di quelli che hanno l'iniziale tra le ultime lettere.

    Una curiosa scoperta americana di qualche tempo fa aveva invece associato al nome le chance di seduzione di una persona. Le Laura, Moira o Paula avrebbero, secondo un gruppo di ricercatori del Massachusetts Institute of technology guidati da Amy Perfors, più sex appeal delle Anna, Rose o Cinzia. Da parte loro i maschietti di nome Mike o Ed, diminutivo di Edoardo possono dormire sonni tranquilli: il cucco è assicurato. Insomma dimmi come ti chiamo e ti dirò se sei sexy.
    Lo studio, pubblicato sulla rivista "New Scientist" rivela come alcuni nomi di battesimo rendono le persone più attraenti per il sesso opposto mentre altri rappresentano un handicap alla conquista per chi li porta.
    La spiegazione del fenomeno sarebbe legata, secondo i ricercatori del Massachusetts Institute, al suono prodotto dalle vocali contenute nei nomi. Le donne hanno dimostrato di essere più sensibili a nomi maschili contenenti le vocali brevi "a " e "i" pronunciabili con movimenti più esterni e più aperti della bocca. Non sarebbero invece dello stesso avviso i ragazzi, che trovano maggiormente attraenti nomi come Laura, Moira o Paula, dove il dittongo crea un suono lungo di vocali. Per condurre l'esperimento, Amy Perfors ha inserito su un sito Internet 24 foto di uomini e donne, suoi amici, chiedendo ai visitatori di dare un voto, da 1 a 10, ai soggetti più attraenti. E' risultato che le preferenze per i soggetti variavano quando i nomi posti nelle didascalie delle foto venivano cambiati con altri che contenevano vocali brevi aperte molto gradite dalle votanti donne. I nomi più penalizzati dalle visitatrici del sito sono stati infatti Tom, Roger, Sean, Mohammed, John, Raj e Rob; quelli che hanno regalato maggior sex appeal a chi li portava Nick, Lee, Elliot Mike e Sam.

    Molto importante sarebbero, secondo un terzo studio, anche le lettere iniziali di nome e cognome.
    Lo studio à firmato da due studiosi statunitensi, Leif Nelson dell'università della California e Joseph Simmons di Yale, i quali hanno dimostrato che le iniziali di nome e cognome riescono ad influenzare alcune scelte importanti e quindi la vita delle persone.
    Del resto diversi lavori precedenti avevano già dimostrato l’esistenza del cosiddetto “name-letter effect”, ossia la tendenza di alcuni soggetti a lasciarsi influenzare dal proprio nome nella scelta della città in cui vivere o addirittura in quella del partner. Si è notato così ad esempio che una leggera maggioranza di persone di nome Jack sceglie di vivere a Jacksonville e sposa donne chiamate Jackie.
    Fin qui non ci sarebbe nulla di male. Secondo i due ricercatori, però, questo meccanismo inconscio è responsabile anche di influenze negative sulle prestazioni di chi ha iniziali “sfortunate”.

    In uno dei loro esperimenti, come riporta la rivista Psichological Science, i due studiosi hanno analizzato i risultati scolastici di una facoltà di economia degli ultimi 15 anni. I voti negli Stati Uniti vengono espressi con le lettere da A a D: A indica l’ottimo, mentre D è insufficiente. Gli esperti si sono accorti che i voti riportati dagli studenti i cui nomi o cognomi iniziavano per C e D, erano proprio queste due lettere con frequenza maggiore rispetto a quelli dei ragazzi con altri cognomi.
    Lo stesso però non è successo agli studenti con cognomi che iniziano con A e B: tra loro, questi voti di eccellenza avevano la stessa frequenza rispetto agli allievi con altre iniziali. Secondo gli autori la spiegazione sta nel fatto che il successo scolastico dipende sia dalla motivazione che dalle capacità:”Se si hanno le iniziali ‘giuste’ c'è una grande motivazione, ma non necessariamente si riesce ad avere risultati brillanti, mentre con le iniziali ‘sbagliate’ inconsciamente si tende ad avere prestazioni peggiori”.

    Gli esperti hanno ottenuto risultati simili analizzando i dati sulla serie A del baseball americano: in questo sport chi viene eliminato durante il turno di battuta viene indicato con la lettera K, ed effettivamente i giocatori i cui nomi iniziavano con questa lettera venivano eliminati con una percentuale più alta del 2%. “E' chiaro che i risultati sportivi o scolastici sono influenzati da moltissime variabili - spiega Simmons – e questi risultati confermano che l'inconscio legato al proprio nome può influenzare la forza con cui si perseguono i propri obiettivi”. Secondo lo studio, il “name-letter effect” può farsi sentire anche su alcune scelte importanti, come ad esempio il tipo di college da frequentare: anche in questo caso, chi ha il nome con iniziali “sfortunate” tende ad accontentarsi più facilmente. Analizzando i nomi degli iscritti a 170 facoltà di legge statunitensi, i ricercatori hanno notato che negli atenei migliori c'era una prevalenza di iscritti i cui nomi iniziavano con A e B, anche nel caso in cui il test di ammissione non prevedeva un giudizio espresso con le lettere dell'alfabeto.

     
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  6. Don Giuliano
     
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    Calze a "piede libero"
    Il gambaletto ti fa sexy


    Gambaletti o corte alla caviglia, lunghe a rete o senza piede...le calze sono protagoniste della primavera, da sfoggiare, così come una borsa o un gioiello. Diverse per modello e fantasia salgono al rango di accessorio-cult, da abbinare a seconda della scarpa e dell'occasione per un look sempre nuovo e glamour.
    Ma con regole che non sono più quelle di una volta.
    Addio quindi ai tradizionali accostamenti col colore del vestito o con la parte del giorno. Scegliere le calze giuste è un vero e proprio esercizio di stile. Orientarsi nell'universo di trame, pesi, colori, tessuti una vera e propria impresa.
    Se fino ad ieri le calze eleganti con una sottile riga nera che percorreva la parte posteriore della gamba erano un “must” a cui non si poteva rinunciare per essere sensuali, oggi non c'è limite alla stravaganza. Non basta più insomma indossare la calza velata o l'autoreggente per essere sexy, le tinte scure e coprenti di sera, quelle più colorate di giorno. Le regole sono cambiate. Anzi non ci sono più regole. Le gambe esigono fantasia, trasgressione e un pizzico di rivoluzione. Cavallo di battaglia della stagione 2008 sono allora le calze alla caviglia, calzerotti a vista, da portare con i tacchi alti, su maliziose gonne corte o al ginocchio, per accendere le fantasie maschili.

    Altro che nostalgica giarrettiera e autoreggente!
    Ecco quindi i calzini di Emilio Cavallini, leader nel settore hosiery, da indossare con le decoltè, stravaganti e di forte impatto sia per le forme che per i colori a contrasto. Decisamente trendy e fantasiosi con disegni geometrici, stelle e strisce, nei colori black e white che sono predominanti.

    Sophia Loren, Silvana Mangano o Laura Antonelli, icone di un passato glorioso in autoreggenti, cedono quindi il passo, anzi le gambe, a smaliziate ragazzine con i calzini alla caviglia.
    Li propone anche Miss Sixty, che rispolvera il gambaletto, fino ieri tenuto accuratamente nascosto sotto i pantaloni, e che ora invece fa bella vista di giorno, di sera, sotto gonne o abiti corti al ginocchio, purché sia ricercato e bizzarro, a motivi floreali, color fluo, iridescenti, con punti di luce come strass, pietre preziose, Swarovski. Dolce & Gabbana alzano un po' "il tiro" e puntano sulle parigine a righe multicolori, di maglia e a costine beige o grigie, Prada invece investe su bizzarri micro gambaletti a costine senza piede, da portare anche la sera con l’abito di gala e i sandali di vernice.

    Le piu audaci sono firmate Chanel e Lagerfeld che hanno proposto mini gambaletti senza piede in paillettes per la sera, da portare con i sandali di vernice. I colori ricoprono tutte le nuance, dal classico nero, al fucsia, fino all'intramontabile 'nudo', per arrivare al rosso fuoco, che fuoreggia su gambe super sexy.

    Collezione molto giovane quella proposta per la primavera 2008 da Pierre Mantoux che punta su trame e fantasie. Protagonisti leggings e gambaletti, da indossare sempre. Per le più giovani una proposta basica da portare tanto di giorno quanto di sera: i leggings Milly, velatissimi, con un motivo di piccoli cerchi bianchi su fondo nero e vezzosi profili in pizzo al polpaccio. Levante propone una linea di calzettoni super trendy nei colori della primavera del turchese, arancio, lilla, verde prato, giallo limone. E poi calzette alla Pippi Calzelunghe, a rombi neri su fondo grigio in perfetto “Old Style”. Un richiamo alla moda hippy degli anni ’70 con i calzettoni a fiori, i classici scozzesi che fanno tanto “English Style”, i classici bianchi di pizzo da bambola ma con un tocco di lilla, azzurro, nero.

    La stilista Anna Molinari propone colori classici per i collant da portare di giorno: grigio fumo di Londra, nero, visone. La sera rigorosamente in nero, velatissime con effetti iridescenti se indossate i sandali o super coprenti con le scarpe con il tacco.
    Anche Goldenpoint, sempre al passo con i tempi e le stagioni, propone una collezione collant primavera estate classica, realizzata con tessuti adatti alle stagioni più calde, che proteggono le gambe senza però appesantirle, garantendo freschezza e lasciando respirare la pelle.

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    A me.... sti gambaletti fanno kakà!!!!!
     
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  7. Don Giuliano
     
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    Se mi assomigli mi piaci di più
    Egocentrismo alla base delle relazioni


    L’arte della seduzione? E' antica come il mondo, eppure, nonostante il tentativo costante di dettare regole e svelare segreti, esistono alcuni meccanismi dell'attrazione ai quali tutti sembrano assoggettarsi, volenti o dolenti. Tra questi un principio, a cui si ispira anche un vecchio detto popolare, ovvero chi è simile a noi sul piano della bellezza, della personalità e della stima di sé è più attraente di chi è diverso … in poche parole, "chi si somiglia si piglia". Quello che può sembrare un semplice luogo comune basato su credenze popolari è invece un meccanismo studiato e provato scientificamente nel corso di numerosi studi di psicologia, passati in rassegna e segnalati dalla rivista scientifica 'New Scientist'.

    Ad esempio, una ricerca condotta su alcuni volontari dall'università di Aberdeen ha dimostrato che siamo istintivamente più disponibili a dividere una somma di denaro e a fidarci di chi ha qualche elemento di somiglianza con la nostra faccia. Così come siamo sessualmente attratti dalla nostra immagine 'girata' nel sesso opposto. Secondo gli psicologi "siamo dunque più egocentrici di quanto pensiamo in realtà, si legge. Il che non significa che siamo tutti come il Narciso della mitologia greca, ma che guardiamo il mondo attraverso il prisma del nostro riflesso".

    L'egocentrismo sarebbe quindi l'elemento base per l'empatia con le altre persone. In altre parole, useremmo il nostro ego per capire le emozioni degli altri. "Quando giudichiamo qualcuno", spiega Daniel Ames della Columbia Business School di New York, "nei loro comportamenti, attitudini e valori, usiamo noi stessi come punto di partenza, assumendo che alle altre persone piaccia ciò che piace a noi, vogliano e credano ciò che noi crediamo".

    Gli scienziati hanno identificato una specifica area del cervello, nella regione mediana pre-frontale, che è coinvolta nei pensieri sociali, e che si attiva sia quando pensiamo alle nostre preferenze ed esperienze, sia ai pensieri delle altre persone che riteniamo simili a noi. Non solo. "Questo pensiero egocentrico", spiegano i ricercatori, "attivato dalla somiglianza con altre persone, serve a rinforzare e guidare la spinta evolutiva nella sopravvivenza dei nostri geni. Quindi l'egocentrismo non è del tutto negativo".

    Lo psicologo inglese Ian-Pentonk-Voak, sostiene dal canto suo, che tendiamo a preferire chi condivide con noi forma e fisionomia del volto. Asserzione che si basa su un semplice esperimento. Il ricercatore ha fatto delle foto a dei soggetti e le ha poi ritoccate al computer così da rendere i volti non riconoscibile e verosimili. Sottoponendo le immagini manipolate alla valutazione dei soggetti dell'esperimento ne è emerso che questi giudicavano più attraenti le varianti di loro stessi che erano state cambiate di sesso.
    Solo in un contesto, però, questo principio della somiglianza non vale, ovvero nella valutazione della bellezza. Se non ci piacciamo, siamo più attratti da chi è bello e non da chi è simile.
    A subire questo effetto "somiglianza estetica" sono tuttavia soprattutto gli uomini. Alle donne infatti preme di più che il partner sia simile a sé quanto ad attitudini e punti di vista, anche se poi la condivisione di opinioni, cultura, provenienza ha comunque il suo peso nella valutazione del partner e nel rapporto con esso per ambedue i sessi.

    Una ricerca condotta dagli studiosi inglesi Caspi e Herbener ha messo in evidenza infatti che quando marito e moglie sono sulla stessa lunghezza d’onda e hanno tratti di personalità simili il rischio di litigi, separazioni e conflitti sia dimezzato rispetto a coppie meno armoniche.

    Del resto stare insieme per molto tempo significa inevitabilmente "imitarsi" vicendevolmente, assumere ad esempio la stessa postura, gesticolare con la stessa frequenza e intensità, dire la stessa cosa nello stesso momento...Questo fenomeno per nulla raro è sinonimo di grande intesa e di profondo interesse anche nelle prime fasi di un legame. Per cui è naturale che trovare qualcuno che ci è vicino come comportamento o atteggiamento, ci fa vivere questa persona come gradevole e attraente.
    Spesso anche solo sapere di piacere a qualcuno, ci fa ritenere quest’ultimo attraente, siamo più cordiali e disponibili nei suoi confronti e questo, a sua volta, induce l’altra persona a fare lo stesso con noi.
    In pratica se facciamo pensare a qualcuno che ci piace, questo di rimando ci giudica più favorevolmente ed è più ben disposto verso di noi. Anche un livello di stima di sé simile è un aspetto che è tenuto in considerazione nella valutazione dell’altro, ma può spesso diventare un tranello. L'altro infatti il più delle volte non corrisponde proprio all'ideale che abbiamo del partner, sia per idee che per apsetto estetico.
    Chi ha una buona idea di sé, prova attrazione per persone che abbiano un concetto della propria persona analogo. Per chi non si apprezza però vale il contrario: sono attratti da chi si piace o addirittura da chi è narcisista.

    A determinare le leggi dell’attrazione vale per tutti la cosiddetta “Regola del buon accoppiamento”: se qualcuno ci chiede chi ci piace, non esitiamo a indicare persone molto belle; ma al momento di scegliere con chi stare, preferiamo partner che siano paragonabili a noi quanto ad avvenenza. E’ quanto hanno provato gli psicologi Carlos Yela e Jose Luis Sangrador dell’Università di Madrid. Il motivo di questo atteggiamento è semplice ed è di natura “economica”. Al fine di minimizzare i “costi” e massimizzare i vantaggi cerchiamo un partner altrettanto “attraente” o comunque il più possibile simile a noi.
     
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  8. Don Giuliano
     
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    L'eros veste di rosso
    Ma anche politica e potere


    Cardinale, cremisi, porpora o magenta, scarlatto o veneziano. Rosso. Al "colore per eccellenza", simbolo di potere, passione, peccato ed erotismo, è dedicata una singolare esposizione "Aussi rouge que possible", al Museo delle Arti decorative di Parigi fino al primo novembre. In mostra oltre 400 oggetti tra arti decorative, gioielli, giochi, abiti, mobili, tessuti, manifesti pubblicitari di tutte le epoche e le latitudini collegati dal "fil rouge".
    Diverse le sezioni in base alla simbologia e agli usi del rosso. "Attorno al rosso si hanno più parole, aggettivi, riferimenti in tutto il mondo, dall'occidente all'estremo oriente alle Americhe", ha detto il curatore della mostra Jean-Luc Oliviè.
    Il rosso è il colore dell'amore e dell'erotismo nella sezione "Rosso, piacere e voluttà" tra corsetti, giarrettiere e stivali di raso e pizzo.
    "Nel medioevo le prostitute avevano l'obbligo di portare qualcosa di rosso nel loro abbigliamento per essere riconoscibili ed una lanterna rossa veniva accesa fuori dalle case chiuse come segno distintivo'', ha spiegato il commissario. Inoltre secondo Oliviè "fino al XIX secolo l'intimo era bianco per due ragioni: una morale, i colori accesi erano considerati impuri, e una pratica, la lingerie non poteva essere lavata senza colorirsi". Le cortigiane del secolo scorso usavano il rosso, e di rosso erano decorati i teatri dove si esibivano. Nel XX/o secolo rosso è simbolo di peccato e scandalo.
    E’ il rosso del resto, un colore esplosivo e carnale ad accendere di esuberante e voluttuosa vitalità l'intimo e l'abbigliamento sexy.

    Ammesso che l’associazione del colore rosso con la passione e quindi con l’amore sia la medesima in tutto il mondo non è ancora chiara però la spiegazione sul perché quest’associazione sia tanto radicata.

    In amore ogni colore va bene. E ognuno di loro racchiude in sé un profondo significato. Lo dice la scienza, oltre che la ben più radicata cultura popolare. Secondo la psicologa Maria Paola Graziani, esperta del Cnr di Avellino, l'esempio più eclatante è il fatidico mazzo di rose rosse, segnale inconfondibile di un messaggio di passione del donatore. Decodificare, in questo caso, non è difficile, perché il rosso suscita sensazioni ed emozioni forti, come l'amore. Appunto. "Il rosso in ogni cultura o etnia è identificato con l'eccitazione, la sua percezione sensoriale produce in qualsiasi persona un impulso stimolante, con effetto eccitante" spiega la psicologa Graziani. Che avverte: "E' invece soggettiva la valutazione di tale percezione: c'è chi accetta la sensazione eccitante e chi invece la rifiuta".

    Opinione comune e diffusa vuole che la percezione dei colori nell’uomo sia derivata dalla necessità di individuare frutti da mangiare tra la fitta vegetazione: i toni del rosso sono i colori della frutta matura, le nostre antenate dovevano riconoscerli a colpo d'occhio, per procacciare il cibo. Da qui la preferenza che sarebbe quindi connaturata in noi e che oggi, per motivi culturali, viene rafforzata.
    Altri studi connettono la percezione dei colori all’intensità delle emozioni. Un esempio? Quando si arrosce si determina un aumento dell’ossigeno nel sangue che comporta il tipico colore "porpora" delle guance.
    In questo modo si dimostrerebbe, che la nostra abilità di percepire i colori sia derivata dalla necessità di interpretare le emozioni e dunque di scegliere la propria compagna sulla base della manifestazione di un certo interesse.

    Ma alla mostra di Parigi rosso è anche "potere", con le uniformi civili e religiose: ritratti di magistrati, un quadro dell'Imperatore Giustiniano, una rappresentazione di papa Pio V e quello dell'imperatore Adriano. Dal XIII/o secolo il papa che fino ad allora si vestiva di bianco usa il rosso porpora ed i cardinali il rosso scarlatto. In Francia anche gli ufficiali dell'esercito portano l'uniforme rossa. Inoltre srotolare il tappeto rosso è un'abitudine diffusa in molti paesi per accogliere un ospite prestigioso.

    Il rosso poi il colore della politica: una ventina di manifesti ripercorrono la storia dei movimenti rivoluzionari dalla rivoluzione del 1848 alla rosa rossa del partito socialista che prende potere in Francia nel 1981, all' 'Ottobre rosso' in Russia al 'Piccolo libro rosso' del presidente cinese 'Mao Zedong'. Il comune denominatore di questi movimenti politici è la bandiera rossa.

    Ci sono in esposizione abiti rosso porpora dell'Antico regime, riservati alla classe aristocratica e privilegiata. Il vestito di lusso si appropria del rosso e diventa abito per la festa e per i matrimoni fino al XIX/o secolo.
    Rosso è ancora nell'arredamento il divano a bocca, la poltrona 'Vremehle' dei fratelli Campana del 1993, la sedia del XVIII/o secolo di velluto e le decorazioni dei tappeti medioevali o orientali.

    Le fiamme dell'inferno rappresentano l'aspetto terribile del rosso. C'è il rosso del sangue di Cristo in croce simbolo della redenzione. "Allarme rosso" è la declinazione del rosso a simbolo del pericolo, del divieto , della morte: un'ambulanza del 1920, i soldati , il camioncino dei pompieri, un morto su un cartellone pubblicitario di una campagna Benetton. Rossi sono i materiali, le tinte, i minerali, le pietre, i rivestimenti degli scrigni che ne rivelano l'aspetto misterioso e segreto, e infine i giochi dei bambini e l'universo fiabesco, Cappuccetto rosso.

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  9. VIPERELLAdoc
     
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    A CAPITO?!?!??!?!?!
     
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  10. Don Giuliano
     
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    Ho capito.... ho capito.... C LORO!!!!

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  11. Don Giuliano
     
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    Eros, legami!
    Dove imparare l'arte del bondage


    Far ritornare le donne "fatali" come lo erano un tempo le pin up. E' questo l'obiettivo dell'Ecole de Dolls di Parigi, la nuova scuola per ragazze, che, proprio al modello di seduzione anni '50, si ispira, nei suoi corsi di bondage, l'arte erotica di legare e farsi legare.

    E' una 'maitresse' d'eccezione, Miss Daisy, specialista venuta direttamente da San Francisco, a tenere il primo atelier su questa particolare pratica erotica, dal titolo 'Introduzione alla pratica del legare' che comincia con uno show.

    I corsi, che sono partiti in questi giorni, riguardano tutte quelle attività sessuali 'sadomaso' basate sulle costrizioni fisiche realizzate con legature, corsetti, corde, cappucci, bavagli.

    Bondage significa alla lettera "schiavitù" e in un certo senso lo è. Solo che schiavo e dominatore scelgono volontariamene i propri ruoli.
    Antica pratica di origini giapponesi, il bondage, sta appassionando sempre più gli amanti di ogni parte del mondo, Italia compresa. Eventi, libri e esposizioni all’insegna di questa secolare arte orientale sono infatti sempre più all'ordine del giorno anche nel nostro Paese, dove corsi di bondage sono stati già organizzati.

    Nato in Giappone come tecnica usata dai samurai per assicurarsi che i prigionieri fossero immobilizzati in posizioni non pericolose ma umilianti, il bondage si è evoluto ed è diventato un piacere sensuale. Legare o farsi legare crea sensazioni nuove in entrambi i partner creando un rapporto ancora più profondo e solido.

    Il bondage svolge contemporaneamente due funzioni: quella di immobilizzare l'altra persona e quella di creare sul suo corpo una serie di trame e figure con corde, fasce, foulard, che acquisiscono anche un valore estetico: a seconda dello stile e delle preferenze personali si può scegliere di dare prevalenza a l'una o l'altra.

    Louise de Ville, ballerina erotica che vive a Parigi, è la 'cavia' di questa prima dimostrazione di erotismo 'burlesco': "si vuole dimostrare che si può legare o farsi legare senza che questa pratica sia dolorosa o coercitiva, anzi la corda valorizza i glutei", ha spiegato Louise al quotidiano Liberation che dedica un articolo sul suo sito internet all'inaugurazione della scuola.

    "Il bondage rimodella il corpo della donna accentuandone le forme", ha osservato lo psicanalista Jean-Pierre Bourgeron. Secondo lui le donne legate hanno seni più sporgenti, la vita disegnata, il busto è proiettato in avanti quando le braccia sono tenute dietro e le cosce sono più formose. E' il contrario della donna piatta, androgina". Per Bourgeron "la donna legata si sente valorizzata, ultra-femminilizzata".

    Per Louise de Ville il bondage va di pari passo con la liberazione della donna: "portare i tacchi a spillo è un atto di forza. Non ha nulla a che vedere con il mito della donna oggetto. Bisogna rivalutare la femminilità".
    Insegnante di giorno, ballerina erotica di notte, per Louise, che è membro dell'associazione Lgbt (Lesbiche, gay, bisessuali, trans) il bondage è "un gioco". Si tratta di giocare con il sesso in modo ironico, burlesco appunto dal nome degli show delle pin-up americane degli anni '50: Lili St.Cyr, Dixie Evans, Blaze Starr, Tempest Storm, e soprattutto Bettie Page, l'idolo di Louise de Ville, la pin up del Tennessee, con la frangetta nera e il rossetto rosso rosso.

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  12. Don Giuliano
     
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    Lettini solari: sì o no?
    E al sole... solo con cautela


    I fanatici dell'abbronzature a tutti i costi siano avvisati: avere una pelle ambrata e uniforme anche d'inverno può costare caro. Specie se al sole si preferisce l'uso del lettino solare, che aumenta notevolmente il rischio di tumori alla pelle, anche mortali.

    E' l'allarme lanciato da uno studio condotto dall'istituto inglese Cancer Research, secondo cui chi inizia a utilizzare il lettino solare al di sotto dei 35 anni aumenta di ben il 75% il rischio di melanoma maligno.
    Lo studio ha coinvolto 4.000 persone, rilevando tra l'altro che l'82% degli aficiodados dell'abbronzatura artificiale rientra nella categoria più a rischio.
    Una moda in ascesa, se si considera che una donna su tre e un uomo su quattro utilizza il lettino solare. Un malinteso senso comune, spiegano i ricercatori, vede i lettini come un metodo sicuro per abbronzarsi, meglio ancora che prendere il sole "dal vivo". Ma non è così: l'intensità dei raggi UV da alcuni lettini può essere fino a 15 volte maggiore di quella del sole di mezzogiorno. E la ripetuta esposizione ai raggi UV danneggia il DNA nelle cellule della pelle, il che aumenta il rischio di cancro e rende la pelle stessa soggetta a invecchiamento precoce.

    Rebecca Russell, manager della campagna "SunSmart" del Cancer Research spiega "Non sempre è possibile vedere il danno subito dagli Ultravioletti. Si vedono nel tempo. Ma ogni volta che si utilizza un lettino", ammonisce, "la pelle viene danneggiata e aumenta il rischio di cancro".

    E se il lettino è sotto accusa non si salva neppure il sole. Cautela è la parola chiave. Umberto Veronesi, fondatore del Programma melanoma dell'Organizzazione mondiale della sanità (Oms), è da sempre fra gli oncologi più 'indulgenti' sui rischi del sole per la salute.

    "I dati scientifici sono ancora controversi", spiega, "Certo, bisogna evitare le scottature. Per ora consigliamo dunque un'esposizione progressiva e continua, senza 'bagni di sole' massicci", precisa.

    "Le scottature vanno evitate soprattutto da bambini", raccomanda Alessandro Testori, presidente dell'Imi e direttore della Divisione melanomi e sarcomi muscolo cutanei dell'Irccs di via Ripamonti. Sui pericoli del 're degli astri' per il benessere della pelle, l'esperto non nutre infatti alcun dubbio. Basti pensare che "nel Sud dell'Italia", dove sono meno diffusi i fototipi di pelle più a rischio (pelle, capelli e occhi chiari), "l'incidenza del melanoma è pari a 4 casi per 100 mila abitanti l'anno, contro i "12-15 casi su 100 mila abitanti l'anno del Nord-Est", dove la pelle e' più vulnerabile alle minacce del sole.

    E ancora. "Se noi prendessimo un neonato scozzese e lo trasferissimo in Australia, per lui il rischio di melanoma si moltiplicherebbe da un'incidenza pari a 15 casi per 100 mila abitanti l'anno (tipica della Scozia) a quella australiana di 40 casi su 100 mila abitanti per anno", dice. E "se invece lo stesso bebè lo portassimo alle latitudini australiane a 10 anni di vita", continua Testori, "il suo rischio di melanoma resterebbe pari a quello che avrebbe rimanendo in Scozia".

    A ribadire cioè che "le insidie dei raggi ultravioletti sono particolarmente pesanti nei primi anni di vita, durante i quali si concentra il 60-70% dell'esposizione al sole di tutta una vita", ricorda lo specialista. Ma la stessa prudenza deve valere anche per la 'tintarella artificiale' a raggi Uv, puntualizza. "Una metanalisi pubblicata dall'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) di Lione - conferma infatti Sara Gandini, epidemiologa del melanoma all'Ieo - rileva un maggior rischio di neoplasia in chi si sottopone a lampade abbronzanti, specie con alte esposizioni e in giovane eta', fra gli under 25-30", conclude.

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  13. Don Giuliano
     
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    In cucina tra eros e hi-tech
    E' il luogo più amato dagli italiani


    Frigoriferi e forni di ultima generazione, cappe super-aspiranti e lavastoviglie dotate di intelligenza artificiale...Non c'è dubbio la cucina è sicuramente uno dei luoghi più tecnologici della casa, come dimostrano le esposizioni ultra hi-tech di Eurocucina al Salone del Mobile, ma anche il più amato.
    Qui gli italiani ci fanno proprio di tutto. Cucinare, mangiare, riassettare. Ma anche giocare coi bambini, ascoltare la radio, connettersi a Internet e fare l'amore.

    E' quanto emerge da un'indagine Doxa realizzata per Faber, il colosso italiano specializzato in cappe aspiranti, secondo la quale per il 39% degli italiani la cucina batte soggiorno e camera da letto. Insomma, una stanza un po’ laboratorio hi-tech, un po’ sala giochi, un po’ alcova per i momenti di intimità.

    Qui le donne italiane trascorrano oltre quattro ore al giorno e gli uomini circa due ore e mezza, con una media di 198,3 minuti quotidiani tra fornelli, elettrodomestici e momenti di relax. Un tempo, quello che si passa in cucina, che non conosce sostanziali distinzioni geografiche (204 minuti al nord-est, 209 al sud-isole) ma che, curiosamente, aumenta se non ci sono bambini per casa (200 minuti contro 193).

    E come tutti gli ambienti particolarmente amati la cucina è anche la stanza cui si dedica la maggior cura e che si vorrebbe particolarmente spaziosa. Da luogo esclusivo del gentil sesso la cucina è quindi sempre più uno spazio condiviso dove anche gli uomini vivono e si danno da fare.

    In cucina mangiano 8 italiani su 10, accendono la tv uno su due, giocano coi bambini 4 su 10, ascoltano musica 1 su 3 e fanno l’amore una coppia su dieci.

    Dato il grande attivismo degli italiani in cucina crescono anche gli aspetti che si vorrebbero migliorare: il 25,6% vorrebbe elettrodomestici di maggiore qualità, il 23% una cucina un po’ più vivibile, il 19,7% una maggiore pulizia dell’aria, magari grazie a una cappa di nuova generazione, il 12,1% una maggiore silenziosità degli elettrodomestici stessi.

    Ed ecco i diversi tipi di cucine degli Italiani:

    La cucina “Ristorante”
    Ancora oggi un Italiano su cinque considera la cucina unicamente come il luogo della preparazione del cibo: il regno dello chef di casa. E al tempo stesso in 8 famiglie su 10 la cucina è anche lo spazio dove si consumano pranzo e cena. Dotata di ogni tipo di accessorio (pentole, padelle, utensili) spesso in bella vista, e di ogni tipo di elettrodomestico: frigorifero sempre straripante, forno, forno a microonde, fornetti elettrici, bistecchiere, tostapane, cappa superaspirante e ogni altro oggetto che possa servire a sfornare piatti di ogni tipo. Le finestre delle cucine ristorante rimangono costantemente aperte per eliminare gli odori, sempre più spesso si dotano di cappe di ultima generazione. Il dispendio che la cucina Ristorante comporta in fatto di elettricità, gas e riscaldamento genera una forte sensibilità rispetto ai temi del consumo responsabile e del risparmio energetico.

    La cucina “Disco”
    La si trova prevalentemente nelle case dei single, soprattutto femmine, di giovani coppie o di chi vive in condivisione (studenti), e spesso è l’unica stanza davvero abitata e rappresentativa del carattere di chi vive in casa. Tali soggetti considerano la cucina la stanza “più importante della casa”, o “un luogo da abitare e vivere”: non a caso la musica diventa un elemento inseparabile da ogni altra attività. In cucina trovano posto quindi stereo compatti, amplificatori per iPod e radio costantemente accesi. Negli appartamenti in cui la cucina diventa un unico ambiente con la zona giorno, la tendenza è ancora più marcata. Generalmente decorata e abbellita da oggetti di design, prevalentemente colorati, realizzati in plastica o in materiali sintetici o vetro, da mobili low cost, ma anche da elettrodomestici tecnologicamente avanzati e silenziosi.

    La cucina “Hi-Tech”
    Se è vero che per ben due terzi degli Italiani la cucina è il luogo in cui, in casa, si concentra la maggior parte degli apparecchi tecnologici, la cucina Hi-Tech è la massima espressione di questa tendenza. Internet, lettori iPod, computer integrati con gli elettrodomestici di ultima generazione, tv al plasma ad alta definizione, materiali tecnici per piani cottura e lavoro: è la cucina di famiglie senza figli e single, prevalentemente maschi, dal reddito medio-alto, in gran parte laureati, liberi professionisti (ma anche manager o ingegneri), anche se alcune giovani donne, magari in carriera, stanno cominciando a prediligere questi tipo di ambiente. In genere più diffuse al nord, sono le preferite dai giovani tra i 25 e i 35 anni, in genere si affaccia sulla zona giorno dalla quale è possibile ammirarla mentre si mangia in compagnia.

    La cucina “Laboratorio”
    Comoda, accogliente, in genere caratterizzata da un arredamento classico e solido, dove il design lascia spazio all’affidabilità e alla robustezza: la cucina Laboratorio è la scelta prevalente delle famiglie con figli (42%), ma anche degli over 50 (prevalentemente donne), in cui si passa gran parte del proprio tempo. Dalla colazione fino all’ora di andare a letto, in questo ambiente si gioca coi bambini, si guarda la tv, si praticano gli hobby mentre i pargoli fanno i compiti, e naturalmente poi si cucina tutti assieme. Facile trovare sparsi qua e là in un disordine pieno di vita giocattoli, giornali, quaderni, bambole e Lego. Questo tipo di cucina, più che abitabile, e rigorosamente separata dal resto della casa, rimane più diffusa al centro-sud rispetto al nord.

    La cucina “Alcova”
    Appannaggio delle coppie più giovani, gay o etero che siano, questa cucina è il luogo più caldo delle case di piccole dimensioni. Comoda e dall’atmosfera accogliente, viene in genere scelta in ogni sua componente insieme al partner, divenendo il luogo in cui ritrovarsi dopo una giornata passata al lavoro, cucinare e stare insieme. Non è un caso se un Italiano su dieci (9,5%) considera la cucina il luogo ideale per trascorrere momenti di intimità col partner. Poche concessioni al design, ma molta attenzione per i particolari, la cucina Alcova è comune anche nei monolocali o bilocali dei single, sia maschi che femmine, per i quali diviene il luogo alternativo alla solita camera da letto per consumare creativi dopocena romantici e passionali.

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  14. Quirita
     
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    Se l'ape scomparisse dalla faccia della terra, all'uomo non resterebbe che quattro anni di vita"
    Albert Einstein

    Pochi si rendono conto che le api e i pipistrelli sono animali fondamentali per l'intero ecosistema.
    Non a caso rappresentano i due "animali polari" per eccellenza: le api infatti rappresentano le forze solari e i pipistrelli quelle lunari!
    La loro diminuzione e peggio ancora scomparsa dovrebbe farci riflettere tutti quanti per trovare una soluzione prima che sia troppo tardi.

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    Api e pipistrelli: misteriosa peste
    Maurizio Blondet - Effedieffe 28 marzo 2008

    Benchè gli uni siano mammiferi e gli altri insetti, pipistrelli ed api hanno sempre avuto qualcosa in comune. Entrambi volano. Entrambi sono indispensabili per l’agricoltura, i pipistrelli perché combattono gli insetti nocivi (ciascuno di loro, d’estate, mangia insetti per la metà del suo peso ogni giorno), le api perché necessarie ad impollinare le culture.
    Ora hanno un’altra cosa in comune: una malattia sconosciuta li uccide a migliaia, portando le due specie sull’orlo dell’estinzione. La moria dei pipistrelli è stata notata nei nordici e nevosi stati di New York, Vermont e Massachusetts, le cui caverne o vecchie miniere sono siti d’ibernazione dei mammiferi volanti (1). I biologi dell’Environmental Conservation Department hanno tentato un censimento in quattro grotte e miniere dello Stato di New York, e calcolano che il 90% degli animaletti che vi avevano svernato in letargo sono morti.

    Li si vede uscire in pieno giorno dalle caverne, in questo scorcio d’inverno - i pipistrelli sani volano solo di notte e d’inverno dormono - e morire sbattendo le ali nella neve. I piccoli corpi appaiono anormalmente emaciati; spesso gli scienziati li hanno trovati picchiettati da un fungo e con la polmonite, ma ritengono che queste siano affezioni secondarie.
    La malattia che li uccide - chiamata Sindrome del Naso Bianco - ha causa sconosciuta: virus o batterio, intossicazione da inquinamento o disordine metabolico; dieci laboratori americani stanno studiando tutte le ipotesi, ma senza esito.

    Il tasso di mortalità è spaventoso: in una sola caverna presso Albany, dove erano stati contati 15.584 pipistrelli nel 2005, se ne sono trovati 6.735 nel 2007 e appena 1.500 quest’inverno.
    Alcuni studiosi sospettano che un pesticida introdotto di recente per stroncare il West Nile virus (il virus del Nilo) possa essere la causa della strage, sia per intossicazione diretta sia per cause indirette, riducendo la popolazione di insetti di cui i mammiferi volanti si nutrono.

    Altri gruppi stanno monitorando il comportamento degli insettivori durante il letargo nella caverne con telecamere ad infrarossi, per vedere quante volte si svegliano durante l’ibernazione, e misurare la temperatura corporea del branco.
    Il professor Thomas Kunz, biologo della Boston University, ha studiato i resti dei pipistrelli uccisi dal misterioso male ed ha notato che sono anormalmente magri, mancanti del grasso - specie del cosiddetto «grasso bruno», una sorta di accumulo che si trova tra le scapole, e che fornisce l’energia per il primo volo agli animali che escono dal letargo. Le femmine, così magre, non raggiungono l’ovulazione e quindi, anche se sopravvivono, non partoriscono (nelle razze studiate, ogni femmina genera solo un figlio l’anno, il che rende più vicina la prospettiva di estinzione).

    Per contro, ben poche ricerche sono state avviate e finanziate sulla strana malattia che sta facendo scomparire le api, come hanno dichiarato i proprietari di 22 apiarii di dieci Stati americani. Questi allevatori di api si trovano ogni anno in California dove portano i loro alveari durante la fioritura dei mandorli, sia per aiutare l’impollinazione che darà i frutti, sia per ottenere un miele pregiato.
    Ora, scambiandosi le informazioni, hanno scoperto che il 37% delle 230.500 colonie che allevano è scomparso; l’anno precedente la perdita era stata del 30% (2). Pochi vedono le api morire. Apparentemente, la malattia, chiamata provvisoriamente Colony Collapse Disorder, induce un comportamento anomalo e distruttivo: le api operaie se ne volano via, abbandonando nell’alveare la regina con le larve nei favi, e non si trovano più.

    «Se morissero le mucche la gente scenderebbe in piazza a chiedere finanziamenti per lo studio del male», dice Jerry Hayes, l’entomologo del Dipartimento dell’Agricoltura della Florida: «La gente crede che il cibo gli venga dalle industrie. Ma le api impollinano un terzo delle colture degli USA, che danno raccolti per 15 miliardi di dollari».
    Oggi, gli apicoltori hanno portato un terzo di tutte le api americane (le superstiti) per salvare il raccolto di mandorle in California. In Florida, si attendono questi apicoltori con i loro alveari per impollinare migliaia di ettari di aranceti, frutteti vari e chiodi di garofano. E’ incerto se potranno farlo l’anno prossimo. Lo stesso vale per i pipistrelli.
    «La presenza dei pipistrelli nel Texas consente ai coltivatori di cotone di salvare da un sesto a un ottavo del raccolto, perché divorano gli insetti nocivi», dice la dottoressa Elizabeth Buckles, specialista in mammiferi della Cornell University: «La morìa in corso - mezzo milione di insettivori scomparsi nel solo Vermont - avrà di sicuro effetti economici. Li constateremo la prossima stagione, come sovrabbondanza di insetti infestanti».

    Tutti sospettano, a mezza bocca, che qualche intervento umano da agricoltura industriale, introdotto per aumentare la produzione, abbia sconvolto delicati e sconosciuti equilibri naturali fra il mondo animale e vegetale, vigenti da tempo immemoriale: forse i pesticidi chimici, forse le sementi geneticamente modificate (3), e la scienza non sembra in grado di stabilire né la causa né i rimedi.
    E le strane allarmanti pestilenze che stanno riducendo all’estinzione api e pipistrelli coincidono con il rincaro storico dei grani e dei prodotti agricoli in genere (più 20% in media), esso stesso causato dalla speculazione nel «nuovo ordine globale». Il risultato può essere la carestia globale (4). Una punizione che ci saremo meritata.

    Note
    1) Tina Kelley, «Bats perish, and no one know why», New York Times, 25 marzo 2008.
    2) Susan Salisbury, «Bee plague worsening, anxious beekeepers say», Palm Beach Post, 24 marzo 2008.
    3) Brit Amos, «Death of bees: GMO crops and the decline of bee colonies in North America», GlobalResearch, 25 marzo, fornisce un’ipotesi convincente sul perchè i campi coltivati con sementi OGM possono influire sulle api: «There are many reasons given to the decline in Bees, but one argument that matters most is the use of Genetically Modified Organism (GMO) and Terminator seeds that are presently being endorsed by governments and forcefully utilized as our primary agricultural needs of survival. I will argue what is publicized and covered by the media is
    in actuality, masking the real problems of Terminator seeds and Genetically Modified Organisms (GMO’s). Terminator seeds; genetically produced and distributed by powerful multinational lobbies manipulate government and agricultural policy to encompass their agenda of dominance in the agricultural industry. American conglomerates such as Monsanto, Pioneer Seeds, and others, have created seeds that do not reproduce (whereas these seeds have a life span of the crop chosen). The sterilizing of the plant by the means of sterilizing the flower pollen genetically altered and mutated for production in the agricultural industry. Logic states that if the flower pollen is sterile, bees are potentially going malnourished and dying of illness due to the lack of nutrients and the interruption of the digestive capacity of what they feed on through the summer and over the winter hibernation process».
    4) Peter Popham, «Threats to millions as food aid scheme runs out of money», Independent, 25 marzo 2008

     
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  15. Don Giuliano
     
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    Per la bellezza oro, perle, caviale
    Da Bologna le novità della cosmetica


    La bellezza non conosce confini. E da tutto il mondo arrivano a Bologna mille novità per un aspetto fresco e curato, presenti al Cosmoprof, la manifestazione fieristica più importante del settore al mondo nell'ambito della cosmesi e della bellezza. Tra le invenzioni più particolari e curiose spiccano ad esempio il mascara che si gira da solo, proveniente dalla Corea, che assicura ciglia lunghe e scure senza muovere un muscolo ma grazie solo alla concentrazione della mente. Tutta italiana è invece l’idea di una spazzola energetica che, oltre a pettinare i capelli, massaggia la cute con piccoli sensori magnetici rivestiti di gomma, favorendo la circolazione del sangue. E per garantire la massima igiene tra un cliente e l’altro ci sono i pennelli disinfettanti.

    Tante novità anche per quello che riguarda i principi attivi, con un vasto utilizzo di frutta e verdura, ma sono soprattutto di ingredienti “nobili”, come oro, vino, caviale e persino i diamanti, a tenere banco. Tra le stranezze spicca la saliva di sanguisughe, in grado, a quanto pare, di attivare la micro-circolazione sanguigna, con miracolosi effetti anti-invecchiamento.


    Nell’area del lusso, molto interesse hanno suscitato i profumi al diamante, esposti nella sezione “Masterpieces”, I flaconi contengono una pietra preziosa per un valore di oltre 100.000 euro. Naturalmente non si tratta di un acquisto alla portata di tutte le tasche, tanto che in tutto il mondo se ne vendono in media soltanto tre bottiglie all'anno. In Italia si scelgono boccette della stessa serie, ma più economiche, con un prezzo che oscilla di solito tra i 2000 e i 9000 euro, con una decina di pezzi venduti all’anno.

    E se i diamanti sono i migliori amici delle ragazze, le altre pietre preziose non vogliono cedere il passo. Tra le pietre più “in” spiccano i rubini, non solo incastonati sulle confezioni, montati in oro bianco e pronti per essere indossati come amuleti: le pietre preziose sono contenute direttamente nei principi attivi dei cosmetici. Ad esempio il rubino è alla base di una crema e di una polvere che attenua visibilmente le rughe del contorno occhi, rendendo più luminosa la pelle del viso, grazie ad un’azione che stimola la circolazione sottocutanea.

    Un posto di tutto rispetto tocca anche all’oro, con trattamenti che combinano il prezioso metallo a 24 carati e nanotecnologie ultrasoniche: il risultato è una polvere da nebulizzare direttamente sulla pelle. Per un’idratazione di eccezionale efficacia, che rende l’epidermide più luminosa. Il prezioso metallo è protagonista anche nel campo della depilazione: si trasforma in una cascata sulla pelle, che si solidifica e viene strappata, lasciando un corpo bronzeo. Una lozione con glitter dorati si aggiunge poi al trattamento, per rinfrescare ed idratare la pelle. E’ sempre all’insegna del lusso, spiccano le perle, per cosmetici caratterizzati da un tocco di regalità, mentre dal Mar Rosso arriva il caviale, contenuto in una linea di creme estremamente raffinata.

    La moda di coniugare sensualità ed erotismo dà origine ad una serie di prodotti da leccare. In particolare, per quanto riguarda i capelli, è stata messa a punto una linea di cosmetici a base di gelato, pensati soprattutto per i consumatori giovani. A rendere i capelli luminosi, infatti, oltre alle già note creme a base di yogurt, le formule al mirto di Sardegna e al concentrato di olio d'oliva, arrivano gli shampo al pistacchio, con proprietà riequilibrante, quelli alla banana split: ravvivante o all'affogato alla fragola: emolliente. Sempre d’attualità l’utilizzo di prodotti naturali, come sale, zucchero e caffé, direttamente dalla cucina al lettino dell’estetista per creme e maschere per il viso ad con effetto scrub. Anche il riso tritato dà un suo contributo alle esigenze della cosmesi, trasformandosi nella componente essenziale di saponette dai colori caldi e dalle proprietà nutritive. Sempre all’insegna del gusto le linee di saponi al sapore di cioccolata, fragola, crema, fatti però non per essere mangiati, ma per il bagno, con l’intento di rendere i cosmetici semplici e naturali come quelli da cucina. Tra i detergenti per corpo e mani, tante proposte a base vegetale o con principi attivi della frutta, Infine, di particolare rilievo nel settore profumeria, la fragranza al vino, dal colore rubino, con retrogusto legnoso e da applicare con parsimonia per evitare di ubriacarsi.

    Per quanto riguarda la cosmesi, la tendenza vede la conferma del natural look, con una predilezione per la bellezza acqua e sapone e un trucco appena velato, anche per le non giovanissime. Ecco allora linee di fondotinta, fard e terre dalle sfumature delicate a base di sostanze bio o di principi attivi minerali. Spiccano le polveri a base di mica dalle virtù curative con effetti antirossore e il diossido di titanio che funge da filtro solare Uv. Per la manicure, si conferma lo sfizioso french, che ha avuto successo anche tra le teenagers, ora presentato nelle nuova tonalità rosate in modo da sembrare più autentico.

    Tante le curiosità anche nell’area beauty per i più piccoli, con gli smalti per le unghie per piccole principesse fino a otto anni, contenuti in flaconcicni a forma di paperelle, dinosauri e farfalle. Si tratta di prodotti naturali che si lavano via senza difficoltà. Sempre per i piccoli fino a cinque anni una linea di profumi con fragranze semplici e delicate, distinte per maschi e femmine.

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